IL METODO BIANCHI
E’ consuetudine far
risalire le origini del Ju Jitsu (arte della cedevolezza) al Giappone
dell’epoca Kamakura (1185-1333) quando i Bushi (guerrieri) iniziarono lo studio
e la codificazione di tecniche con e senza l’uso delle armi da utilizzare per
neutralizzare i nemici. Nel corso dei secoli si ottenne una costante evoluzione
di queste tecniche che, sotto la guida di abili maestri (Sensei), furono
raggruppate e costituirono numerosi Ryu (scuole) ognuno dei quali tentava di
affermare la propria invincibilità nel combattimento. Tutto questo conduceva a
frequenti sfide durante le quali tutti gli allievi di un Ryu si recavano presso
una scuola rivale per combattere e saggiare l’efficacia del proprio stile.
Questi incontri vennero denominati Dojo Arashi ”tempesta che si abbatte
dove si studia il metodo”. Alcuni Ryu tra i tanti diffusisi in Giappone furono:
Tenjin Shinyo Ryu, Muso Jiken Ryu, Yoshin Ryu, Aio Ryu, Kito Ryu, Katori Shinto
Ryu, ed altri.
In Italia il Ju Jitsu fa parte della nostra Federazione (FIJLKAM) dal 1931
quando l’allora FAI, Federazione Atletica Italiana, assorbì la Federazione
Lotta Giapponese; dal 1971 è presente come disciplina associata e dal 1985,
assieme all’ Aikido, è inserito autonomamente nelle attività federali. Il Ju
Jitsu merita addirittura diritti di primogenitura, essendo la matrice da cui
nasce ogni nostra conoscenza delle arti marziali in Italia. Quello che giunse
nel nostro paese ai principi del’900, diffuso dai nostri marinai che lo avevano
appreso durante la permanenza di nostre navi da guerra nel Mar della Cina, era
proprio il Ju Jitsu. La prima dimostrazione di questa ”lotta giapponese” si
ebbe nel maggio del 1908 a Roma, a Villa Corsini, dove si affrontarono sottufficiali
di Marina che, pochi giorni dopo, ripeterono la loro esibizione nei giardini del
Quirinale alla presenza del Re Vittorio Emanuele III. Anni dopo fu istituita la
cattedra di Ju Jitsu presso la Scuola Centrale Militare di Educazione Fisica e
nel 1924 si costituì la Federazione Ju Jitsuyista Italiana (FJJI), trasformata
nel 1927 in Federazione Italiana Lotta Giapponese. Con Carlo Oletti si ritiene
datare l’inizio della diffusione organica del Ju Jitsu identificato con la
denominazione successiva di Judo, ma a Gino Bianchi si deve negli anni ‘40
l’introduzione della ”Dolce Arte” in Italia. Arruolato nella Marina da Guerra,
apprese le tecniche del Ju Jitsu nella Cina occupata dal Giappone. Quindi,
tornato in patria a Genova, promosse la diffusione del Ju Jitsu in tutta
Italia. Nell’ambito federale inizialmente il Ju Jitsu ha privilegiato lo studio
della tecnica sviluppando la diffusione del”Metodo Bianchi”e affiancando
successivamente ai”Settori”lo studio dei Kata dell’Hontai Yoshin Ryu, una delle
scuole tradizionali giapponesi tra le più antiche. Per quanto riguarda il
”Metodo Bianchi” l’iniziale catalogazione delle tecniche in Settori data dal
Maestro Rinaldo Orlandi è stata rivista nel 1985 dai maestri Bagnulo,
Mazzaferro e Ponzio ed alle singole tecniche, selezionate e ridotte da 20 a 10
per i vari passaggi di grado, si sono aggiunti i ”Concatenamenti” che implicano
il collegamento di una tecnica ad un’altra in seguito ad una reazione
dell’avversario. I Settori sono cinque e vengono contrassegnati dalle prime
lettere dell’alfabeto e sono composti ciascuno da venti tecniche. Il Settore
”A” comprende le azioni elementari che introducono alla conoscenza dello squilibrio e delle
reazioni di un avversario; il Settore ”B” tratta le azioni che attraverso lo
studio dello sbilanciamento mirano al caricamento, sollevamento e proiezione
dell’avversario; il Settore ”C” esamina le azioni che agiscono sulle articolazioni;
il Settore ”D” è dedicato alle azioni sul collo (leve articolari e strangolamenti) dell’avversario mentre il
Settore ”E” fonde le azioni dei primi quattro introducendo azioni più vicine
alle applicazioni in difesa personale.